SAI RICONOSCERE UNA PERSONA CHE MENTE..?

mercoledì 29 giugno 2011

L’INCLINAZIONE PER LA VERITA’


La difficoltà di scoprire la menzogna si fonda da un duplice principio generale:

1.    per il parlante: “se non hai particolari ragioni di mentire, comunica ciò che ritieni il vero”
2.       per l’interlocutore “ se non hai particolari ragioni per sospettare del parlante, accetta come vero ciò che egli comunica”
Queste indicazioni rientrano nell’ambito del principio di Cooperazione proposto dal filosofo Paul Grice,.secondo cui occorre fornire il proprio contributo comunicativo al momento opportuno così come è richiesto dalla situazione. Tale principio implica anche la cosiddetta Massima Di Qualità :   “cerca di fornire un contributo vero”;

1.       non dire ciò che credi falso
2.       non dire ciò che per cui non hai prove adeguate

Si evince che siamo in presenza di una predisposizione universale della specie umana che è stata chiamata L’inclinazione per la verità (truth-bias), ossia la tendenza a ritenere  ed accettare (per pricipio) come veritiero il discorso fatto dagli altri.
Grazie a questa importante eucaristica cognitiva, vale a dire un sistema semplice di ragionamento e di regole mentali che consente la valutazione di stimoli complessi con un impegno cognitivo ridotto. Tale euristica, valuta gli enunciati detti da altri come veritieri, le persone applicano una decisione mentale semplice e compiono uno sforzo cognitivo inferiore rispetto a quello richiesto per esaminare tali enunciati come fossero menzogneri. Sostanzialmente è un problema di economia di risorse mentali e di velocità di elaborazione delle informazioni. Infatti è molto più economico attenersi al criterio “ per credere è sufficiente non aver ragioni evidenti per non credere che al criterio opposto”.

L’euristica della “inclinazione della verità” funzione in combinazione di altre euristiche a disposizione della mente umana. Fra esse possiamo citare l’euristica della disponibilità (è convinzione  universale che i messaggi onesti e veraci siano molto più frequenti di quelli disonesti e mendaci; quindi è probabile inferire l’onestà che l’inganno, indipendentemente dalla veridicità del messaggio), della falsicabilità ( è convinzione comune che è più facile falsificare i fatti che i sentimenti; di conseguenza, è più probabile che le dichiarazioni fattuali  siano valutati come false rispetto agli enunciati emotivi) e dalla  rappresentatività ( vi è la tendenza di ritenere accettabile o meno un’affermazione in base alle conoscenze stereotipate in proprio possesso; in riferimento alla menzogna è convinzione stereotipata e diffusa che il bugiardo abbia un comportamento nervoso).
In quanto euristica, l’inclinazione per la verità comporta una presunzione di veridicità circa le affermazioni fatte da altri che non richiede né un’operazione intenzionale né un’attenzione focalizzata, ma che è compatibile con un processo mentale automatico. Di conseguenza, tale euristica, associata con un impegno cognitivo limitato, riduce notevolmente l’accuratezza dei giudizi e abbassa altresì la valutazione diagnostica delle informazioni fornite dagli altri in termini di attendibilità e credibilità. Sulla base dell’inclinazione della verità, tali informazioni sono assunte come tendenzialmente valide e veritiere. Come esito finale essa riduce in modo rilevante lo smascheramento e la scoperta degli indizi menzogneri.
L’inclinazione per la verità è correlata in modo stretto con il grado di conoscenza e di intimità con gli altri: quanto più i legami personali con gli altri sono forti, tanto più risulta elevata tale inclinazione per la verità e tanto meno si pongono dubbi sulla veridicità delle loro affermazioni. In particolare, l’inclinazione per la verità facilità la comunicazione, mantiene saldi i rapporti con i propri intimi e diventa una base fondamentale per stabilire un legame di fiducia con loro. Questa condizione rende comprensibile l’apparente paradosso che qualifica la comunicazione menzognera fra le persone intime.

L’INCLINAZIONE PER LA VERITA’

mercoledì 15 giugno 2011

MODI LINGUISTICI DELLA COMUNICAZIONE MENZOGNERA



Il modo linguistico va inteso come una organizzazione dinamica e articolata di micro e macrocomponenti del linguaggio, attuata dal parlante per produrre specifici effetti sul destinatario all'interno di un dato contesto. Nello scambio menzognero, al pari di quello veritiero, la connessione fra testo e contesto favorisce la produzione di specifici  modi linguistici, intesi come processi caleidoscopici e calibrati in funzione delle aspettative del sistema parlante-destinatario.






 I modi linguistici sono:
· Dire per non dire
· Esimersi dal dire
· Si dice che...
· Aspetti non verbali presunti..
A) Dire per non dire:  nella comunicazione menzognera è possibile fare ricorso a una estesa varietà di stili linguistici, fra loro grandemente differenti, al limite opposti.
All'interno del modo linguistico dire per non dire abbiamo:
Ambiguità
Prolissità
Nel dire  per non dire si caratterizza dal ricorso a :
1)      elevato numero di modificatori con valenza dubitativa:
circa
quasi
forse
un po'
etc
2)      termini livellatori
tutti
nessuno
etc
3)      predicati epistemici
penso
suppongo
credo
etc
In questo tipo di eloqui le frasi sono lunghe e complesse, con una elevata variazione nella scelta delle parole, riguardanti sopratutto affermazioni generali e vaghe. Il ricorso a frasi fattuali che descrivono episodi concreti è assai limitato; per contro, si assiste a un grande impiego di informazioni secondarie irrilevanti e fuorvianti. In particolare, nel dire menzogne serie, i soggetti fanno minori riferimenti a informazioni percettive e contestuali, mentre danno maggior spazio alle esperienze soggettive in modo analogo a quanto avviene per i resoconti di ricordi immaginati.
Questo modo linguistico nella comunicazione menzognera definito dire per non dire è un modo per diluire le informazioni false e di renderle meno identificabili attraverso quello che chiamiamo noi investigatori psicologici effetto seppia. Facendo ricorso a frasi lunghe e complesse, spesso ridondanti ma povere sul piano dei contenuti concreti, il bugiartdo cerca di neutralizzare, di narcotizzare la menzogna, disorientando il destinatario. Entra qui in gioco un complesso sistema di sfumature di grigio, in cui si dice e non si dice, in cui si dice una cosa e una cosa diversa a proposito della stessa realtà. Attraverso la vaghezza il parlante è in grado di mentire senza correre il rischio di esporsi eccessivamente sia di essere accusato di falsità sfacciata qualora venisse scoperto. Egli può  sempre appoggiarsi su affermazioni fatte in precedenza che gli consentono – almeno in parte – di giustificarsi e di assicurarsi una condizione di buona fede.
B) esimersi dal dire:  questo secondo modo linguistico appare l'opposto a quello descritto precedentemente. Nel dire una menzogna il parlante può fare ricorso a una modalità comunicativa caratterizzata dall'assertività e dall'evitamento ellittico.
Si tratta di un modo linguistico che risulta essere efficace in presenza soprattutto di un interlocutore  sospettoso e inquisitore. Impiegando questo modo linguistico, il mentitore usa forme reticenti per esprimersi, con lo scopo di dire il minimo necessario. Le frasi sono brevi, spesso di natura nominale e incomplete sul piano sintattico, in quanto  il soggetto  e il predicato verbale sono impliciti.
Le pause vuote (il silenzio) e quelle piene tipo (vocalizzi, mhm, ehm, ah, etc) sono frequenti e lunghe.
I tempi di latenza sono alquanto lunghi. Inoltre questo modo linguistico prevede che il parlante  ripeta le medesime frasi usando le stesse parole, senza produrre variazioni, anche in presenza di domande diverse.
Questo tipo di comunicazione menzognera  può essere definito come “esimersi dal dire”, in quanto mira a una elevata riduzione delle informazioni e alla semplificazione delle frasi. Entra qui in atto una sorta di effetto tartaruga , dal guscio impenetrabile, che impone l'omissione di informazioni sostanziali per il destinatario. Il parlante pur dicendo una menzogna, cerca di definire i confini del discorso nel modo più tretto possibile, senza fornire elementi che potrebbero condurlo a contraddirsi. Inoltre il tono assertivo impiegato dal mentitore costituisce un dispositivo psicologico per assicurare la veridicità delle informazioni e per aumentare l'attendibilità del discorso.

C)      si dice che..... : terzo modo linguistico ricorrente nella comunicazione menzognera consiste nella impersonalizzazione del discorso. In questo caso il mentitore si astiene dal parlare in prima persona e produce un numero esiguo di auto riferimenti. Per contro, egli fa ricorso in modo sistematico a  terze persone (con frasi tipo:”lui/lei, mi ha detto che e a forme impersonali  ( “si dice”, “noi” ). In questo caso possono essere frequenti le frasi fattuali che descrivono una situazione ed eventi ma che vengono attribuite ad altri.
Questo modo linguistico della comunicazione menzognera  definita come si dice che attraverso l'impersonalizzazione il mentitore intende evitare di assumersi la responsabilità di quanto sta comunicando. Qualora venisse scoperto, egli è sempre in grado di dissociarsi dagli enunciati fatti, poiché può giustificarsi sostenendo di avere riferito quanto ha sentito da altri.
    D)Aspetti di comunicazione  non verbali: la comunicazione menzognera comporta in modo costante il ricorso a sistemi extralinguistici di significazione, quale il sistema vocale paralinguistico, la mimica facciale, lo sguardo, il sistema cinesico dei gesti , la prossemica (uso della distanza e dello spazio) e l'aptica (il contatto corporeo). Questa condivisione è condivisa da qualsiasi altro tipo di comunicazione: dalla conversazione standard alla comunicazione ironica,politica, seduttiva etc.

Nella psicologia del senso comune esistono numerosi stereotipi sulla comunicazione della menzogna ad alto rischio. In questi stereotipi s sono in gioco credenze generali, radicate e resistenti, ancorchè superficiali e imprecise. Le credenze più stereotipate  più diffuse nella comunicazione della menzogna riguardano a una serie di comportamenti improntati al nervosismo e inquietudine.
La persona che mente sarebbe nervosa, tesa e contratta tende a distogliere lo sguardo dal suo interlocutore, non starebbe fermio sulla sedia; e farebbe più spesso dei sorrisi, farebbe molti gesti di auto-manipolazione
 per compensare la situazione di disagio (come grattarsi la fronte o la nuca, toccarsi le orecchie, attorcigliarsi i capelli etc.) si muoverebbe di più per l'irrequietezza  (tamburellando le dita, muovendo le mani, le gambe, i piedi).  Per quanto concerne l'eloquio, il mentitore farebbe un numero elevato di esitazioni e di errori linguistici, aspetterebbe più a lungo prima di fornire una risposta, farebbe pause più frequenti e più lunghe, avrebbe un tono di voce più acuto.
Il verdetto di questo sistema stereotipato di credenze è conseguente: un individuo che mostri questi comportamenti (o la maggior parte di essi), sta mentendo. Altrimenti, per quale ragione dovrebbe comunicare in quel modo?
Dopo anni  e anni di esperienza nel   campo dell'investigazione psicologica mediante l'analisi di migliaia analisi di videoregistrazioni e di interrogatori le  mie conclusioni sono che quando le persone mentono, fanno ricorso a un insieme di comportamenti non verbali profondamente diversi da quelle che la gente comune si immagina. Infatti L'esigenza di controllare la situazione conduce il mentitore a reprimere il più possibile quei comportamenti che si ritengono tipici della menzogna e a fornire impressioni il più possibile  credibili e veritiere. Paradossalmente il mentitore si comporta in modo opposto a quanto la gente pensa sugli indizi della menzogna. In linea di massima sopratutto nella situazione di menzogna ad alto rischio, egli tende a guardare in faccia a lungo l'interlocutore, ha un basso numero di ammiccamenti, muove poco le mani e le gambe, compie un numero limitato di gesti di automanipolazione. In tal modo il mentitore piò giocare su un atteggiamento di facciata che presenta il suo discorso onesto e accettabile.
Per  quanto riguarda  la comunicazione menzognera la voce si rileva in una modalità non verbale importante e attendibile. Infatti il mentitore sopratutto nelle menzogne ad alto rischio tende ad innalzare significativamente il tono della propria voce. L'innalzamento dei toni della voce è da attibuirsi ad una condizione emotiva che restringe le corde vocali.


Come si può osservare, i modi per dire una menzogna sono tanti e diversi. In sostanza, ogni mentitore sceglie il suo percorso comunicativo che è più congeniale  alla sua personalità, con le sue competenze e con il suo ambiente sociale. La variabile cruciale consiste nella capacità di controllo della comunicazione menzognera. La varietà dei modi linguistici a disposizione del mentitore gli consente di adottare e di seguire il percorso comunicativo più efficace in considerazione delle aspettative, delle credenze e degli atteggiamenti dell'interlocutore. In ogni caso il mentitore impiega le parole per “trasformare” la realtà in modo da renderla credibile. La comunicazione  menzognera, esige   un continuo controllo degli enunciati, poiché chi mente deve essere attento e sensibile ai cambiamenti di atteggiamento da parte del destinatario. E' un problema di finezza e di sintonizzazione non soltanto evitare di perdere di credibilità ma sopratutto per apparire onesto e veritiero. Mentre si mente occorre esercitare un controllo attento a quel che si dice e come lo si dice,su come si comporta e sulle reazioni del destinatario. Su questa capacità di controllo si  gioca l'abilità del mentitore. Dalle mie esperienze investigative è emerso che questa abilità e strettamente associata con la destrezza sociale nel gestire i rapporti con gli altri, nell'assecondarli e nel creare con la loro atmosfera di empatia. Infatti i soggetti che hanno una competenza sociale elevata sono quelli che risultano più abili nel mentire.

Consapevolezza dei propri modi di mentire

Le persone che mentono  sono consapevoli del modo di mentire..? Quali sono le credenze in proposito?
Per quanto riguarda i comportamenti non verbali, i bugiardi hanno credenze così stereotipate così radicate sulla condotta menzognera che essi ritengono di comportarsi in tale modo mentre mentono, quando in realtà non è così. I mentitori mentre dicono una menzogna, credono di distogliere lo sguardo, di sorridere, di muovere le mani, i piedi e le gambe, nonché di fare vari gesti di nervosismo con una frequenza e con un'intensità assai superiore a quella reale. Pensano, di comportarsi nella maniera stereotipata che la gente attribuisce ai mentitori, ma in realtà non è così. Soltanto glia aspetti vocali (come gli errori nel parlare, le esitazioni, la velocità del parlato e il tempo di latenza nelle risposte alle domande) si è osservato una corrispondenza  soddisfacente fra le proprie credenze e i dati realmente registrati.
Quindi possiamo trarre questa conclusione: è possibile che le persone possano migliorare la loro abilità per scoprire le menzogne altrui nella misura in cui si migliora la consapevolezza dei propri comportamenti non verbali mentre si dicono bugie.

martedì 7 giugno 2011

QUANTI MODI PER DIRE LE MENZOGNE

La flessibilità del significato e della menzogna
La comunicazione umana è un'attività simbolica, cognitiva, emotiva e sociale così complessa che offre grandi opportunità a chi intende mentire. Tali opportunità si radicano sul terreno medesimo del significato, in quanto il significato delle parole e delle frasi non è univoco ma si presta a una molteplicità di interpretazioni significati delle parole non presentano confini netti e precisi in quanto unità semantiche  discrete, ma sono caratterizzati da confini sfumati e continui. Un enunciato  è “sfumato” se è qualificato dalla proprietà di opacità referenziale. Per esempio, una lezione può essere “non male”, Paola può essere “piuttosto carina” e Marco può avere “molti amici”. In questi casi i termini quantificatori e i qualificatori permettono di “scavare” cioè “ricavare” il significato di una frase in modo più o meno profondo e con una certa semantica. Il medesimo  processo vale anche per le forme avverbiali e per gli incisi che introducono una lettura continua e sfumata cioè approssimativa del significato. Ad esempio se prendiamo la frase precisa “sono le tre” diventa sfumata appena si inserisce il termine circa :”sono circa le tre”. A pari dichiarazione, i significati presentano al loro interno una notevole gradualità semantica per la presenza di modi di dire e di modificatori scalari. Prendiamo ad esempio la parola “morto”: espressioni come “completamente morto”,”quasi morto”,”morto stecchito”,”non ancora morto”, “appena morto”, “morto di sonno”, “morto in piedi”, “morto che cammina”,”stanco morto”,”appena morto”,”morto per caso” veicolano significati assai diversi che vanno da uno stato biologico a una condizione psicologica.
Il significato quindi di “morto” non è assoluto ma varia in relazione dell'espressione e del contesto d'uso.
Inoltre, qualsiasi significato non è totalmente prevedibile né determinabile a priori, in quanto dipende sempre dal contesto di riferimento, né si possono dare significati fuori contesto o senza contesto.
In particolare, un dato contesto pone in evidenza certe proprietà del significato e, nel medesimo tempo, ne mette in ombra e ne “narcotizza” altre. In questa prospettiva il contesto svolge la funzione di selezione semantica. Di conseguenza,le interpretazioni dei propri e altrui enunciati non sono fissi nel tempo ma cambiano il contesto di riferimento. Questo contesto sfocia nel fenomeno della risemantizzazione contestuale, nella quale il parlante può attribuire certe proprietà semantiche a qualcosa che di per sé non le possiede ma che le viene ad acquisire in modo contingente entro un determinato contesto.
Per esempio posso chiamare sedia un tavolo, una cassa vuota, una pila di libri, un gradino se in giro non ci sono sedie e posso persino dire: “non occupare la mia sedia”. La risemantizzazione contestuale pone in evidenza una grande plasticità d'uso e una elevata  flessibilità dei significati, consentendo un'estesa gamma di applicazioni grazie a opportuni processi di aggiustamento semantico.
Tale flessibilità e plasticità dei significati sono alla base della comunicazione menzognera,poichè , entro limiti piuttosto estesi, i significati possono essere espansi o ridotti in accordo alle aspettative, alle credenze e agli scopi dei comunicatori.
In quanto tali, i significati possiedono  un numero considerevole di gradi di libertà e un valore di apertura o di chiusura che rende possibile una serie di diverse sue attualizzazioni.
Umberto Eco ci ricorda sempre nel suo Trattato di semiotica generale chela semiotica in principio, è la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire”. Su questa piattaforma di flessibilità e di variabilità semantica si innestano  i diversi modi e percorsi comunicativi per dire menzogne.

Esistono modi tipici per dire menzogne?

Dopo aver architettato una menzogna nella propria mente, occorre anche dirla all'interlocutore. A questo riguardo si posso dichiarare due problemi:

  1. esaminare i modi  con cui dirla;
  2. verificare se esisto dei modi “tipici” per dirla.
Partiamo da questo secondo aspetto.
La comunicazione menzognera fa parte di quel più vasto fenomeno che da Luigi Anolli  è stata definita
come discomunicazione, ossia quell'ambito comunicativo in cui le componenti  implicite e indirette prevalgono su quelle esplicite e dirette. Rispetto alla comunicazione standard e normale, la discomunicazione accentua gli aspetti di opacità e di obliquità, in cui si ha una sorta di copertura intenzionale che conduce a un messaggio plurivoco, dotato di numerosi significati.
Tocca poi all'interlocutore la responsabilità di sciogliere l'ambiguità e di scegliere un certo percorso di senso fra quelli possibili suggeriti dal parlante medesimo.
Tuttavia sia la comunicazione standard e  sia la discomunicazione non rappresentano in ambiti separati e distinti della comunicazione, ma fra essi esiste una soluzione di continuità che impedisce ogni netta  dicotomia.  I processi e i meccanismi che valgono per la comunicazione standard valgono anche per la discomunicazione, e viceversa. Di conseguenza, se esistono molti modi per dire il vero, in quanto il parlante ha a sua disposizione una molteplicità di percorsi di senso per dire le cose e per comunicare i significati che ha in mente, questo succede ancora di più per la comunicazione menzognera.
 Sotto questo aspetto essa aumenta i gradi di libertà comunicativi a disposizione dei partecipanti, per cui vi sono innumerevoli modi per dire le menzogne. In funzione di tali gradi di libertà il parlante è in grado di calibrare il percorso  comunicativo della menzogna che intende dire.
Non esistono quindo modalità “tipiche” per dire le bugie, ma la  comunicazione ingannevole  si confonde con quella veritiera e onesta. Per una ragione, La comunicazione menzognera è, per definizione una comunicazione intrigante, poiché  non si sa fino a che misura la frase ingannevole copra aspetti di verità e fino che punto copra aspetti di falsità..
L'aspetto intrigante è ulteriormente accentuato dal fatto che la comunicazione menzognera, come qualsiasi altro tipo di comunicazione, comprende sia gli aspetti propriamente linguistici (le frasi dette) sia gli aspetti extralinguistici (le modalità non verbali). Si aumentano in tal modo i registri e i sistemi di segnalazione che possono essere coerenti ma che possono essere divergenti e in contrasto tra loro.
Invece secondo la psicologia del senso comune esistono degli indizi comunicativi “tipici” della menzogna, come il nervosismo, il gesticolare e l'evitamento dello sguardo. Essi sarebbero l'equivalente del naso di pinocchio e sarebbero alla base di teorie ingenue su come scoprire la menzogna.